Onorevoli Colleghi! - Occorre rendere al più presto nuovamente «pubblica» quella sparuta parte di dirigenza attualmente privatizzata. Non possiamo dimenticare che la dirigenza è il nucleo vitale di una pubblica amministrazione efficiente, che deve essere ben motivata e soprattutto non avvilita da norme vessatorie.
      L'attuale contratto di lavoro di natura privatistica per la dirigenza delle amministrazioni dello Stato, comprese quelle ad ordinamento autonomo, difatti, ha mortificato l'opera del singolo dirigente, mercanteggiando il suo rapporto di lavoro con l'autorità politica del momento. Pronta, quest'ultima, a concedere sempre di più ai «servitori» che si adeguano al suo volere, più che all'interesse generale del Paese.
      Con la cosiddetta «privatizzazione» si sono create, in questi ultimi anni, le premesse e le conseguenze della ghettizzazione del personale pubblico dipendente cosiddetto «contrattualizzato». Nessuna delle previsioni tanto sbandierate all'epoca per convincere che «privato è bello» è stata realizzata. Per costoro non si è avuto nemmeno il rispetto temporale dei rinnovi contrattuali, mentre i contratti di prefetti, diplomatici e via dicendo sono stati rinnovati rispettando le scadenze.
      I contratti dei dirigenti privatizzati, inoltre, non hanno avuto gli incrementi che sarebbero giustificati dalla «precarietà» dell'impiego e dal fatto che essi sono «datori di lavoro» con compiti e responsabilità più pesanti dei dirigenti in regime pubblicistico, l'incremento retributivo dei diplomatici sfiora il 24 per cento, quello dei prefetti il 20 per cento, mentre per i ministeriali è solo l'11 per cento! A tutto questo si aggiungano altri benefìci riservati ai dirigenti in regime pubblicistico, come la promozione alla qualifica superiore all'atto del pensionamento.
      La cupidigia politica, nel corso della XIV legislatura, si è spinta ben oltre, fino

 

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ad ipotecare lo stesso futuro della pubblica amministrazione, se è vero, come è vero, ciò che è accaduto recentemente, quando, a pochi giorni dalle elezioni il Governo ha proceduto alla nomina di dirigenti di suo gradimento ai vertici della pubblica amministrazione, ipotecando così le scelte di competenza dell'attuale nuovo Governo.
      La presente proposta di legge, pertanto, nasce dall'esigenza di realizzare una sostanziale riforma dell'attuale rapporto di impiego del personale dirigenziale delle amministrazioni statali, comprese quelle ad ordinamento autonomo, stabilendone il passaggio dal regime privatistico, cui è attualmente assoggettato, a un'autonoma disciplina di diritto pubblico, nell'interesse dell'esclusivo perseguimento del buon andamento della pubblica amministrazione.
      La ratio del provvedimento va ricercata nella oggettiva considerazione che nel settore statale la dirigenza cosiddetta privatizzata interessa soltanto circa 4.000 dirigenti, a fronte di un numero complessivo di circa 96.000 dirigenti dello Stato, comprendente anche il personale della carriera diplomatica e prefettizia, magistrati, docenti universitari, personale delle Forze armate e delle Forze di polizia. Nei circa 4.000 dirigenti privatizzati è compreso un numero considerevole di dirigenti addetti ai gabinetti e alle segreterie particolari di Ministri e Sottosegretari di Stato, che beneficiano però di norme che derogano dai contratti collettivi nazionali di lavoro e, quindi, sono parzialmente già sottratti alla privatizzazione.
      I dirigenti realmente privatizzati costituiscono appena il 4,1 per cento di tutta la dirigenza statale e sono «globalizzati» e sottoposti a un regime giuridico di lavoro precario, indegno di un Paese civile. Questi, inoltre, sono gli unici dirigenti a subire lo spoil system e ad essere assoggettati a contratti individuali a termine, oltre a sopportare i gravosi impegni collegati al loro status di datori di lavoro. Di recente, infatti, sono stati restituiti all'alveo pubblico i dirigenti e i funzionari del Corpo dei vigili del fuoco.
      Tale condizione mina l'efficienza dell'attività dei dirigenti, non consentendo una pianificazione del lavoro a medio e lungo termine, giungendo a mortificarne la dignità.
      Obiettivo primario di questa proposta di legge, dunque, è quello di garantire il perseguimento in toto dei fini individuati dall'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel rispetto dell'articolo 97, primo comma, della Costituzione, anche alla luce dei princìpi recati dalla legge 15 luglio 2002, n. 145, in materia di riordino della dirigenza dello Stato, eliminando le succitate cause di disagio, che incidono negativamente sulla efficienza della pubblica amministrazione.
      La nuova normativa, infatti, consentirebbe alla dirigenza statale di tornare ad essere indipendente, imparziale e produttiva al massimo grado, operando con serenità per il pubblico interesse, nei termini voluti dalla Costituzione.
      Questo Parlamento finalmente darebbe così una giusta risposta anche ai problemi dell'autonomia della dirigenza pubblica, in nome di quella giustizia perequativa che non deve mai soccombere alla prepotenza dei più forti.
      Le norme proposte non comportano aggravi a carico del bilancio dello Stato.
 

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